IL FILM
In principio c’erano i fratelli Coen, che nel 1996 raccontavano la vicenda di Jerry Lundegaard, pavido venditore di automobili che assolda due criminali per far rapire la moglie ed estorcere un sostanzioso riscatto al ricchissimo e odiatissimo suocero. Ovviamente la faccenda si complica e va a finire ben presto a puttane. In un grottesco caos di morti violente e azioni sconsiderate da parte dei personaggi, un’intuitiva poliziotta prossima a partorire cerca di risolvere il caso. Il luogo di ambientazione è il glaciale scenario del Nord Dakota, paradigma di un mondo in cui miseria morale e mediocrità sono le uniche unità di misura utili per provare a comprendere l’insensatezza dell’esistenza umana. Questo film, un ibrido tra thriller, poliziesco e commedia nerissima, consacra definitivamente i fratelli Coen (premiati sia a Cannes che alla notte degli Oscar) come registi di culto, capaci di creare pellicole con un’impronta stilistica molto personale e di altissimo livello e storie sempre in bilico tra la farsa più ridicola e la tragedia più cupa.
Non uno dei miei Coen preferiti, in realtà, ma che, dopo la visione della miniserie omonima, riesco ad apprezzare e comprendere molto molto meglio rispetto a prima.
LA SERIE
È assodato da tempo che le serie tv americane hanno raggiunto livelli di eccellenza assoluti sotto tutti i punti di vista (noi in Italia ci stiamo piano piano avvicinando, come dimostra Gomorra – la serie): scrittura solidissima, qualità registica equiparabile (se non a volte superiore) a quella di tantissimi film, partecipazione di attori, compresi diversi premi Oscar, che dieci anni fa non ci saremmo nemmeno sognati di apprezzare in contesti del genere. 
Fargo non fa eccezione. Prodotta dagli stessi fratelli Coen, questa miniserie composta da dieci episodi lunghi circa un’ora ciascuno, non è, come si potrebbe pensare, la dilatazione della trama del film del 1996, bensì è una sorta di riproposizione di una storia dai toni e dalle modalità molto simili, a partire dall’ambientazione identica a quella del film e dalla caratterizzazione dei personaggi. Già nei primi minuti veniamo introdotti nell’insulsa vita di Lester Nygaard, timido e impacciato assicuratore, vittima di una moglie insopportabile che gli rinfaccia di continuo le sue scarse doti lavorative e non perde mai occasione di sminuirlo in favore del suo brillante fratello. Il poco invidiabile contesto familiare del protagonista non è comunque peggiore della sua vita sociale e professionale. Una mattina Lester incontra per caso Sam Hess, vecchia conoscenza che lo maltrattava ai tempi della scuola e che non ha perso le sue pessime abitudini. A causa di un “misunderstanding” con l’energumeno, Lester si ritrova con il naso rotto nella sala d’attesa di un pronto soccorso, luogo in cui incontra un misterioso individuo di nome Lorne Malvo che, sentita la storia di Lester, si propone di uccidere Sam Hess. Questo cruciale incontro segnerà per sempre la vita di Lester e la noiosa esistenza della cittadina di Bemidji. Il misterioso individuo non solo scatena una lunga serie di catastrofici eventi, ma rappresenta per Lester una sorta di goccia che fa traboccare il vaso della sua frustrazione da quarantenne fallito. L’incontro provoca in lui una ribellione incontrollata e lo sfogo di una rabbia rimasta sopita per anni e che si risolve con l’uccisione (da me, e non credo solo da me, invocata dai primissimi minuti del primissimo episodio) a colpi di martello dell’odiata moglie. Quest’omicidio crea un legame ancora più saldo tra le vite di Lester e Lorne Malvo, un legame che in un modo o nell’altro ostacola e offusca le indagini dell’intuitiva agente del dipartimento di polizia di Bemidji Molly Solverson, aiutata dal timido agente Gus Grimly, le uniche due persone convinte della colpevolezza di Lester. Questo è solo il prologo, quello che segue negli episodi successivi beh…meglio non farselo raccontare.
QUANTO COEN C’È IN QUESTO NUOVO FARGO
Nei personaggi ce n’è un bel po’ per esempio: il protagonista Lester è caratterialmente molto simile a Jerry Lundegaard e, come Ed Crane, mantiene una posizione subalterna, se non sottomessa nei confronti di sua moglie; Malvo (interpretato da Billy Bob Thornton, che guardacaso è l’Ed Crane dell’Uomo che non c’era), così letale e sfuggente, è un Anton Chigurh con una pettinatura leggermente migliore; Molly è una citazione in carne e celluloide di Marge Gunderson; Gus Grimly è invece colui che probabilmente ricalca meglio l’archetipo del personaggio coeniano: buono, debole, in perenne balia degli eventi (in ogni film dei Coen non manca mai un personaggio come lui); lo stesso Bill Oswalt, con il suo disarmante lassismo ricorda tantissimo la figura dello sceriffo Ed Tom Bell.
Ma l’ombra lunga dei fratelli Coen è presente anche in aspetti più eterei, relativi a scelte di natura stilistica. Si avverte costantemente una tensione claustrofobica, sottolineata da delle musiche cupe e imperiose e degna dei migliori guizzi noir dei Nostri. Una tensione che si sublima e raggiunge il suo apice nel terribile conflitto a fuoco in mezzo alla bufera di neve dell’episodio 6. C’è poi la bellezza stordente dell’ellissi narrativa dell’episodio 8 che, con incredibile leggerezza, fa slittare avanti di un anno il racconto, consegnandoci in poche immagini il prorompente cambiamento delle vite dei protagonisti nell’immutata realtà provinciale di Bemidji; e poi, siccome ci sono anche degli sbalorditivi colpi di scena, è impossibile non menzionare la scena immediatamente successiva a questo frame. Una cosa che letteralmente leva il fiato, ma che per ovvie ragioni evito di raccontare:

Il punto di raccordo narrativo di maggiore importanza tra il film e la serie è però rappresentato dall’episodio del ritrovamento della valigia da parte del magnate dei supermercati Stavros Milos, momento situato cronologicamente circa dieci anni dopo i fatti del film e da considerare un vero colpo di genio da parte degli sceneggiatori per almeno due motivi: il primo, molto semplicemente, perché in qualche modo ci svela che fine avevano fatto i soldi del riscatto; il secondo, che è anche il più importante, perché questo avvenimento evidenzia il concetto fondante che caratterizza il film dei fratelli Coen e che all’epoca ha spiazzato una buona parte di pubblico e critica, cioè l’epigrafe iniziale che recita “This is a true story”. È come se i due Fargo per mezzo di questo collegamento (sottolineato, tra l’altro, dall’inquadratura in campo-controcampo sulla strada ghiacciata e desolata), come in un lungo dialogo mai interrotto, si alimentassero e rafforzassero a vicenda, rendendo ancora più tangibile anche la realtà del loro mondo, dando così una sensazione, se non di verità, sicuramente di plausibilità alla storia, nonostante il “fardello” della finzione narrativa.
IL SENSO INVERSO
Fargo si può già considerare una pietra miliare per quanto riguarda i serial televisivi. Non è il primo telefilm ispirato o tratto da una pellicola di successo, ma è sicuramente quello che per qualità e caratura può davvero aprire la strada a molte produzioni di questo tipo. In passato siamo sempre stati abituati a “bramare” film tratti da serie tv che abbiamo amato (A-Team, Stursky e Hutch o X-Files, per citare delle trasposizioni famose e dagli alterni successi) e molto spesso ne siamo rimasti delusi perché l’opera cinematografica spesso non rispecchiava lo spirito del telefilm di riferimento, oppure era, per questioni di lunghezza, troppo condensata per essere considerata davvero “completa”. Un’operazione inversa invece permette agli sceneggiatori di sviluppare temi e aspetti che nel film restano inesplorati o comunque, sempre per un discorso legato al minutaggio, rimangono confinati ai margini della storia. Trarre una serie tv da un film è quindi un’occasione per approfondire il film stesso e allo stesso tempo inventare qualcosa di assolutamente originale, lavorare in modo più dettagliato sui caratteri dei personaggi, gestire con meno fretta situazioni e snodi narrativi, trasformare un lavoro di circa due ore e arricchirlo tramite un’esperienza più lunga ma non per questo annacquata: ed è ciò che, in modo eccellente, accade in Fargo.
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