Breaking Bad, quando una serie tv spacca il culo a centinaia di film

“I DID IT FOR ME”

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Queste parole, pronunciate nel sedicesimo e ultimo episodio della quinta stagione di Breaking Bad, basterebbero per riassumere l’intero percorso di Walter White. Non si contano le volte in cui, nell’arco di tutti e 62 gli episodi, Walter giustifica le sue azioni dicendo che tutto ciò che fa lo fa per la sua famiglia. Ed è vera quest’affermazione, almeno inizialmente, quando la scarsa copertura assicurativa dei White costringe Walt a trovare un rimedio per potersi pagare le cure per il cancro senza che la sua famiglia finisca sul lastrico. E se possiamo comprendere il suo rifiuto verso l’elemosina di Gretchen ed Elliot, non si trova giustificazione al fatto che, nonostante Walt abbia accumulato abbastanza denaro per poter provvedere a se stesso a ai suoi, continui a produrre metanfetamina. Il motivo è solo uno: Walter White, per la prima volta nella sua vita, trae soddisfazione da ciò che fa. Dopo aver passato cinquant’anni a farsi scivolare la vita addosso, inizia a sentirsi vivo quando scopre che sta per morire. La scoperta della morte libera tutta la sua rabbia repressa che si manifesta nell’attività di produttore di droghe sintetiche. Emerge prepotente il suo potenziale inesplorato: il talento sconfinato per la chimica (che già sapeva di possedere) e il talento per il crimine (che diventa una scoperta continua per Walt e per noi stessi spettatori). Walt, che non ha niente da perdere, gioca costantemente con il rischio di essere beccato. Sia a causa della sua iniziale inesperienza come malfattore, sia soprattutto a causa del suo indicibile narcisismo. L’apice lo raggiunge nel 4X05, dove a tavola contraddice Hank quando parla di Gale Boetticher come di un genio assoluto, rispondendogli che quelle di Gale erano solo delle intuizioni copiate da qualcun altro, qualcuno molto più intelligente e capace, sta parlando dell’imprendibile Heisenberg, sta parlando di se stesso: non ha nessun bisogno di esporsi così tanto per dire una cosa simile, ma lo fa per puro e semplice autocompiacimento, in preda ad un vero e proprio delirio di onnipotenza.

I PERSONAGGI, OVVERO IL LATO OSCURO DELLA GENTE COMUNE 

breaking-badC’è un personaggio che ci aiuta a capire meglio Walter White: è Hank Schrader. Da subito Hank si presenta come antitetico a Walt: sicuro di sé, machista, un po’ bifolco. È volutamente stereotipato e di solito questi personaggi rimangono monolitici e immutabili proprio per la loro caratterizzazione priva di sfumature. Però Hank viene coinvolto in due episodi cruciali che lo cambieranno per sempre: il primo è l’uccisione di Tuco Salamanca, il secondo è la testa mozzata di Tortuga che gli esplode a dieci metri di distanza. Vede la morte in faccia come succede a Walt, ma al contrario di quest’ultimo Hank da lì in poi subisce uno shock da cui si riprenderà solo in parte (sottolineato anche dalla sua menomazione fisica in seguito allo scontro a fuoco con i due hermanos). Se Walt inizia a vivere, Hank inizia a morire lentamente e a conoscere una paura che fino ad allora non aveva mai provato. Insomma, se fino a cinquant’anni hai vissuto o creduto di vivere in un certo modo, non è detto che ciò debba per forza continuare anche dopo. Ma la ragione per cui tutti i personaggi di Breaking Bad sono interessanti è che di loro sappiamo solo l’essenziale, il resto è lasciato alle nostre supposizioni. Breaking Bad non dà troppe spiegazioni, non ci vuole dire tutto quello che succede. È piuttosto una storia che va avanti spedita come un treno, che punta dritta al sodo e dove accadono un casino di cose, per questo anche i flashback sono usati con molta parsimonia. È tramite ciò che accade e ciò che viene detto apparentemente di sfuggita che intuiamo il passato dei personaggi. Ciò che li accomuna è senz’altro la loro doppiezza: oltre a Walt, anche Gus FringMike Ehrmantraut o Lydia Rodarte-Quayle  sono persone dalla vita apparentemente ordinaria, li troviamo meno normali di Walt solo perché di loro ci viene mostrato praticamente solo il “lato B”. L’alone di mistero che circonda questi personaggi li rende infinitamente più affascinanti (quando scopriamo di com’era insicuro il giovane Gus dinnanzi ai papponi del cartello messicano, o quando vediamo Mike che gioca con la sua nipotina rimaniamo interdetti, perché scopriamo l’umanità di questi personaggi apparentemente senza anima). Ma perché non troviamo così immorale stare dalla parte di uno come Walter White nonostante le sue azioni deprecabili? Perché Walt in fondo ci rappresenta. Rappresenta tutti quelli che in vita prendono solo calci nel culo e che un giorno, per caso o per desiderio, abbracciano il loro effimero momento di rivalsa. Walter White eleva a scienza esatta questo desiderio di rivincita. Ciò che fa è moralmente sbagliato, compie azioni terribili, uccide e scioglie nell’acido diverse persone, inganna la sua famiglia, diventa un boss nazionale del narcotraffico, eppure noi, anche se non totalmente, lo assolviamo. In lui rivediamo noi. In Walter White rivediamo la violenta redenzione ai nostri fallimenti. E questo sentimento nei confronti di Walt avrà attecchito maggiormente tra gli spettatori d’oltreoceano, dove la questione del sistema sanitario nazionale continua a dividere l’opinione pubblica. Chissà quanta gente del ceto medio americano si è rivista in Walter White.

IL FINALE

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Scarno, essenziale, pulito, risolutivo. Non soddisfa tutti (nessun finale lo fa) perché lascia in sospeso un sacco di cose (Skyler? Marie? E Jesse Pinkman che scappa?). Ma, sinceramente, chi se ne frega? Personalmente mi aspettavo tutto tranne che un finale positivo o un qualche edificante epilogo con la famiglia di Walt che vive felice e contenta (no, non è la famiglia del Mulino Bianco, ma questo lo si intuisce dal primissimo episodio della primissima serie). Ciò che conta è la visione globale, non il finale. Cinque stagioni perfette. Un inizio lento, un climax raggiunto nella quarta stagione, la quinta ed ultima stagione che rimane praticamente sullo stesso altissimo livello. Breaking Bad è un pugno nello stomaco lungo cinque stagioni. È la più grande escalation narrativa a puntate che sia mai esistita. Per qualità della recitazione, sceneggiatura, tensione drammaturgica, riferimenti alla cultura pop e cinematografica, realismo e capacità di tenere lo spettatore col fiato sospeso è la miglior serie televisiva di sempre. Thriller, pulp, commedia nera, dramma familiare, poliziesco, romanzo di (de)formazione con parentesi di splatter, più tantissima altra roba. Irripetibile.

p.s.

“My baby blue” dei Badfinger è la canzone che chiude la serie. Tra i mille ringraziamenti che farei a Vince Gilligan c’è anche quello di avermi fatto scoprire questo fantastico pezzo:


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